Perugia, il Tar taglia i posti letto dell’unità di degenza infermieristica

L'istituzione del reparto per la cura e l'assistenza dei pazienti al di fuori dei reparti è stata fatta in contrasto con il piano sanitario regionale

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PERUGIA – Ricordate l’unità di degenza infermieristica inaugurata più di un anno fa al Santa Maria della Misericordia di Perugia e che ha fatto arrabbiare medici, infermieri e politici? La Regione dovrà rimetterci mano perché così com’è stata concepita non va bene.

Il Tribunale amministrativo regionale ha accolto (in parte e per le motivazioni che si spiegano in seguito) il ricorso presentato da Cimo Umbria e Aaroi-Emac Umbria, rappresentati dagli avvocati Romina Pitoni e Virginia Marchesini in Perugia, contro l’Azienda ospedaliera di Perugia, la Regione (non costituita in giudizio) e la chiamata in causa dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri di Perugia, rappresentati dagli avvocati Lucia Biocca e Marcello Leonelli, Anaao Assomed, tramite gli avvocati Alessandro Longo e Giuseppe Magliocca e il Collegio provinciale degli infermieri professionali assistenti sanitari e vigilatrici di infanzia (Ip.As.Vi di Perugia) con l’avvocato Paolo Fantusati. Nel ricorso si chiedeva l’annullamento delle decisioni che avevano portato alla costituzione dell’unità di degenza infermieristica «a decorrere dal 4 maggio 2015, in via sperimentale» e costituita da «12 posti letto, al Blocco M piano +2 lato distale».

Ruolo e organizzazione. Le associazioni sindacali rappresentative dei medici chirurghi, veterinari, odontoiatri (CIMO), specialisti in anestesia e rianimazione e delle discipline che operano nel contesto della medicina critica e dell’emergenza (AAROI-Emac), avevano impugnato le delibere che autorizzavano l’unità di degenza «per la gestione dei pazienti in fase post-acuta, generalmente provenienti da unità operative a carattere internistico e con predefinito il piano terapeutico, necessitanti di assistenza infermieristica prima del ritorno al proprio domicilio». Nei documenti non sarebbero stati chiari «il ruolo e le responsabilità dei medici nell’assistenza clinica dei predetti pazienti», ma anche «la responsabilità connessa alla gestione del corretto utilizzo dei posti letto, ivi compreso il rinvio a domicilio o presso strutture dei servizi territoriali, compito che invece spetterebbe ad un medico, dopo visita del paziente». Il trasferimento all’unità, secondo i ricorrenti, «sembrerebbe presupporre la presa in carico del paziente da parte del medico del reparto di provenienza, senza che nulla sia disposto al proposito» e «non è poi comprensibile come possa essere il coordinatore infermieristico a valutare i criteri di ammissibilità dello stesso paziente presso la struttura». Non è comprensibile anche «come i pazienti possano essere seguiti, nel percorso terapeutico e clinico, soltanto dall’equipe assistenziale composta da un coordinatore infermieristico, infermieri ed operatori socio-sanitari e solamente in caso di specifiche attività possa o debba intervenire il medico di riferimento dell’Udi». I ricorrenti hanno depositato ulteriori motivi di ricorso affermando l’assenza del «miglioramento nell’utilizzo dei posti letto, e neppure l’azzeramento del fenomeno dei letti aggiunti».

I giudici amministrativi hanno accolto la posizione dell’Azienda ospedaliera per quanto riguarda «l’eccezione di difetto di giurisdizione», considerando la «natura privatistica degli atti impugnati» e riconoscendo «l’autonomia gestionale o tecnico-professionale, nonché le competenze dei relativi responsabili; tali contenuti sono ravvisabili nell’impugnato provvedimento di istituzione della (struttura operativa dell’Udi)».

I motivi aggiunti. Per quanto riguarda «i secondi motivi aggiunti», invece, il Tar ha stabilito che nonostante «l’attivazione sperimentale dell’Udi» si configuri come una «risposta organizzativa ai bisogni delle post-acuzie consente il miglioramento degli indicatori di performance ospedaliera e l’utilizzazione appropriata dei setting assistenziali, liberando risorse in termini di “posti letto” per l’accoglimento e la gestione dei nuovi casi acuti», l’atto aziendale deve essere «assoggettato al controllo della Giunta regionale, sotto il profilo della conformità e congruità rispetto alle indicazioni del piano sanitario regionale ed alle direttive vincolanti regionali». Cosa che non sarebbe avvenuta.

Norme violate. Il Collegio ha ritenuto che via siano «fondati i motivi nuovi articolati avverso la delibera» in primo luogo «sotto il profilo della carenza motivazionale, agevolmente desumibile dalla lettura dell’allegato tecnico, nel quale non è evincibile una valutazione della conformità e congruità dell’istituzione dell’Udi rispetto alle indicazioni del piano sanitario regionale ed alle direttive regionali» lì dove sono contemplate le «residenze sanitarie assistenziali a degenza breve, caratterizzata dalla presenza del medico di medicina generale». E se il piano sanitario regionale non prevede «l’Udi» la delibera dell’Azienda ospedaliera risulta illegittima, visto che si pone in contrasto con l’atto regionale che definisce «i livelli uniformi ed essenziali di assistenza da assicurare su tutto il territorio regionale, indicando altresì le modalità per il conseguimento di siffatti obiettivi». L’istituzione dell’Udi, infine, viola la norma che attribuisce alla Giunta regionale la definizione di «modalità e criteri per regolare la produzione e l’erogazione dei servizi sanitari da parte degli operatori pubblici e privati nel territorio regionale» e quella parte in cui si specificano «direttive vincolanti per le aziende sanitarie regionali».

Da qui la decisione del Collegio di annullare la delibera della giunta regionale n. 1084 del 2015 e sottolineare che il modello organizzativo «non appare coerente con il quadro normativo di riferimento, preordinato, anche nell’assetto organizzatorio, alla tutela del diritto alla salute dell’individuo/paziente, che richiede l’intervento coordinato (e non temporalmente disgiunto) del medico e dell’infermiere. Il personale medico non può operare “a distanza”, in quanto altrimenti ciò dovrebbe determinare una traslazione delle responsabilità, non consentita dall’ordinamento».