di Marcella Cecconi
ATENE – In agosto ad Atene soffia il Meltemi, e l’afa si spegne dissolvendosi in ampie folate che ristorano i pensieri e gli umori del corpo. Il vento viene da nord, battendo le coste del mar Egeo, e, in tre mesi di lavoro, riduce l’ardore dell’estate ellenica rendendola piacevolmente frizzante.
Il Meltemi mi attende all’aeroporto ‘Venizelos’ e mi lascia solo quando entro nel taxi, dove Theodoros accoglie i passeggeri con l’ampio sorriso sdentato tipico di chi è avanti con l’età.
Where are you from?, ah italiana ‘una faccia, una razza’, siamo cugini quindi, benvenuta nella mia terra!
La cordialità del mio autista mi spinge a fare qualche domanda: “Allora, come ve la passate in Grecia?”.
“Insomma, è piuttosto dura… Gli stipendi sono diminuiti tantissimo, e da una media di 1200 euro al mese si è scesi a soli 500. I prezzi, di rimando, non si sono adeguati e sono gli stessi del periodo che ha preceduto la crisi; anzi in alcuni casi sono addirittura aumentati! Gli unici compensi che sono rimasti sostanzialmente invariati sono quelli dei militari e delle forze dell’ordine”.
“Mi faccia un esempio? Quanto spende una famiglia tipo, formata da quattro persone, per il solo sostentamento?”.
“In media il costo di acqua, luce e gas si aggira intorno ai 300 euro ogni due mesi, e la spesa alimentare arriva ai 600 euro mensili. Nel nord della Grecia molte famiglie si scaldano con la sola legna o con il pellet, mentre ad Atene questo è praticamente impossibile, anche se per fortuna le temperature invernali sono piuttosto miti. Nella capitale l’affitto di un appartamento di quattro stanze è di circa 600 euro al mese e questo è uno dei motivi per cui molte persone hanno abbandonato la città”.
“Il problema dei prezzi è sicuramente fonte di enormi disagi per l’intera popolazione, ed è anche una potenziale miccia in grado di innescare atti di devianza e disordini sociali…”.
“Altroché! Purtroppo in molti ospedali ci sono stati dei casi di furti di farmaci: se la gente non è più in condizione di comprare le medicine e di curarsi, beh allora non gli resta altro che rubarle. Inoltre il lavoro nero è aumentato in maniera vertiginosa: chi può permetterselo, specialmente i commercianti, non rilascia le ricevute fiscali evitando così di pagare le tasse”.
Dopo quaranta minuti sono ad Atene. L’hotel si trova nella centralissima via Pireos, una zona nevralgica situata a poca distanza dall’area archeologica, il quartiere della Plaka, piazza Omonia e piazza Syntagma, sede del Parlamento greco. Dalla terrazza dell’albergo si gode una magnifica vista dell’Acropoli e un colpo d’occhio di 360 gradi sull’intera città: un panorama unico al mondo!
Esco. Il portiere mi dice di dirigermi nella vicina via Athinas e percorrerla tutta sino ad arrivare a piazza Monastiraki, la porta d’accesso alla città vecchia e alla grande bellezza di Atene.
Athinas è una sorta di via crucis. La strada è costeggiata da numerosi palazzi tristi e decadenti, con una lunga fila di serrande abbassate che segnano l’ingresso di quelle che fino a pochi anni fa erano fiorenti imprese commerciali. Una folla variopinta di turisti si mescola ai mendicanti di ogni età, vestiti di miseria e di poca elemosina. Negli angoli più remoti o sotto le fronde di sparuti alberi, sorgono giacigli improvvisati: sono fatti di cartone, bancali di legno e coperte stracce, un’umile realtà che qualcuno chiama ‘casa’. La via cozza drammaticamente con i quartieri turistici, i monumenti archeologici e con le strade che ospitano i grandi alberghi e i negozi di lusso: la crisi inasprisce le disuguaglianze sociali, e delimita i territori dei ricchi e quelle dei poveri.
Siamo in pieno fallimento europeo.
Evangelos
“Salve mi chiamo Evangelos e sarò la vostra guida al santuario Delfi”; segue una lunga spiegazione in inglese: Apollo, la Pizia, la divinazione, l’oracolo e poi – e soprattutto – uomo svegliati e ‘conosci te stesso’. Il viaggio in autobus è lungo e, a tratti, noioso. Abbiamo lasciato Atene e il suo vivace caos mattutino, e ci stiamo dirigendo verso i monti della Focide, alle pendici meridionali del monte Parnasso; il paesaggio è aspro e ricco di contrasti, epico ed emozionante come le tante leggende che popolano queste terre.
Mi inserisco in un vuoto di parole e approfitto per fare qualche domanda: “Evangelos, nel tragitto abbiamo attraversato diversi paesi, ordinati, puliti, apparentemente prosperi, come se la crisi si fosse arrestata in un spazio/tempo separato e distante. A cosa è dovuta questa disparità rispetto ad Atene?”.
“Nelle isole e nelle località di villeggiatura si vive abbastanza bene, a causa di un turismo che non conosce freni. Io stesso, come operatore del settore, posso contare su un discreto stipendio, molto più elevato rispetto alla media nazionale: coi turisti si mangia sempre. Mentre ad Atene la vita è piuttosto cara, nei piccoli centri i prezzi sono più contenuti; inoltre, questi ultimi, godono di particolari condizioni sociali laddove la maggiore solidarietà e coesione fra gli abitanti permettono di ammortizzare gli effetti più drammatici della crisi”.
“Questo implica che la capitale si vada spopolando progressivamente…”.
“Esatto! Molte persone non riescono più a sostenere le spese di sopravvivenza e si trasferiscono nei sobborghi o nelle località balneari, dove c’è più lavoro e si vive meglio. Purtroppo al dramma economico si aggiunge il dramma sociale: lo spopolamento della città genera nuovi quartieri fantasma, il cui vuoto viene riempito da delinquenza, prostituzione e droga, in una progressione preoccupante…”.
A queste parole ci incupiamo improvvisamente: la Patria è madre o è matrigna?
Fedon
“Buonasera! Ho girato tutto il giorno, sono stanca e ho i piedi a pezzi. Vorrei mangiare in un posto qui vicino, cucina tipica, buon rapporto qualità/prezzo. Che mi consiglia?”. Il portiere lascia il bancone e mi indica una piccola osteria dall’altra parte della strada, nascosta fra i portici di un grande palazzo.
Sull’insegna c’è scritto Ristorante armeno. Il menù, in realtà, è vario e piuttosto “globalizzato”, un giusto mix fra Asia e mediterraneo: io scelgo hummus, felafel, involtini di vite e crema di melanzane, serviti con pita e accompagnati da mezzo litro di retsina, bianco e ghiacciato.
Il cameriere si chiama Fedon. “Italiana! Anche io sono mezzo italiano. Mia madre è napoletana; quando aveva quindici anni è venuta in vacanza in Grecia, ha conosciuto mio padre e dopo un anno sono nato io! Poi lei si è trasferita ad Atene e io vivo qui da sempre”. Fedon è loquace e io lo lascio parlare, mentre mangio il mio pasto e bevo il mio vino. In breve mi stila una lunga lista di posti da visitare – che io già conosco – e mi indica anche cosa evitare, più dettagliato di uno ‘sconsiglio della Farnesina’. “Se vai in metro tieni la borsa davanti, non si sa mai. Inoltre non girare a piedi di notte, a meno che non ti trovi in un quartiere turistico come la Plaka, ad esempio. Lì non hai problemi, ma ci sono delle zone, appena fuori dal centro storico, in cui è facile imbattersi in drogati e prostitute. Nulla di particolare, però bisogna stare all’erta. Che poi se vai a Napoli è uguale: infondo tutto il mondo è paese!”.
E continua: “In questi ultimi tempi, dopo la crisi, la delinquenza è aumentata. Per forza, la gente se la passa male e dove c’è povertà prospera la criminalità! È dura, è davvero dura…Vedi me, ad esempio. Lavoro 12 ore al giorno in questo ristorante, da quando apre all’ora di pranzo, sino a notte tarda. Tutti i giorni, tutto l’anno, estate e inverno. Sai quanto prendo? Mille euro al mese! Ti rendi conto, per lavorare 12 ore! Prima della crisi guadagnavo 1500/1600 euro, una paga più che dignitosa. Ora è tutto finito e chissà quando ci riprenderemo”.
Fedon è simpatico e io vorrei dirgli di non preoccuparsi, vorrei dirgli che può fare affidamento su di noi, i suoi fratelli italiani, i suoi cugini europei, e che non lo lasceremo solo a combattere una guerra sua e pure nostra… Purtroppo non riesco a mentire nemmeno dopo due bicchieri di retsina.
Mentre pago il conto il cellulare gracchia sommessamente. In Italia c’è chi ‘non dorme’ e vuole sapere: “Marcella, ti prego, annota tutto quello che vedi! Raccontaci quello che la tv non dice e forse non dirà mai…”.
Cristina
L’ultima sera di vacanza c’è una manifestazione. Sento l’urlo dei megafoni e mi affaccio dalla terrazza della piscina, sfidando le vertigini e i 12 piani di altezza. Un lungo corteo colorato – qualche centinaio di persone – si dirige da via Pireos a piazza Omonia. Lì, con ogni probabilità, prenderà via Panepistimiou e convergerà in piazza Syntagma, il luogo simbolo della politica e del potere.
La cameriera ha il dono della vista e, al contrario di me che sono una talpa, riesce a leggere gli striscioni. “Che c’è scritto Cristina? Cosa stanno dicendo?”. “Sono operai. Le ditte colpite dalla crisi, non riescono a pagare gli stipendi ai dipendenti, e loro stanno protestando contro il governo e i politici. In questi ultimi tempi molte aziende sono al collasso e tante altre hanno già chiuso i battenti. Guarda questo quartiere, ad esempio, non noti nulla di strano? Il sole sta tramontando e tutte le luci dei palazzi dovrebbero essere accese… Non vedi che è quasi completamente buio? Eppure siamo in una grande città, anzi di più, siamo in una delle capitali europee!” “E invece che succede Cristina?” “Questo era il quartier generale di tante aziende. I palazzi della zona ospitavano gli uffici e i centri direzionali di imprese e compagnie che poi sono fallite o hanno trasferito la propria attività. Chiusa l’azienda, spente le luci, calate le tenebre: l’Europa ci ha tagliato la corrente e questa è molto che una metafora”.
Mi viene in mente una canzone. Parla dell’Italia ma va bene lo stesso; la barca è la medesima, cambia solo il nome del capitano. ‘Povera Patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene’.