Danni fauna selvatica, Confagricoltura adesso va contro la Regione
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Cinghiali in un campo
PERUGIA – Confagricoltura Umbria va all’attacco di quello che il suo presidente, Fabio Rossi, definisce un “grave inadempimento agli obblighi previsti dalla legge regionale sul controllo e la selezione della fauna selvatica ed inselvatichita, al fine di prevenire i danni al patrimonio agricolo forestale e i rischi di natura sanitaria, da parte degli enti preposti, Regione dell’Umbria ed in passato anche Province di Perugia e Terni”.
Diffida Per questo, l’associazione degli agricoltori, avvalendosi della consulenza degli avvocati Gustavo Visentini ed Enrico Tonelli, ha deciso di inviare la diffida alla Regione dell’Umbria affinché quest’ultima predisponga, senza indugio, piani finalizzati alla riduzione delle specie dannose sul territorio regionale. L’azione è stata presentata nel corso di una conferenza stampa.
Interessi “E’ ora che i soggetti competenti pongano in atto quanto prevede la legge regionale 17 del 2009 – ha sostenuto Rossi – perché i danni provocati dai cinghiali, nutrie, storni e corvidi sono sempre di più, mentre gli indennizzi risultano sempre più inadeguati sotto tutti i punti di vista. La mappatura del territorio regionale è totalmente inadeguata alla situazione attuale, prevedendo, semplicemente, la suddivisione del territorio stesso in zone vocate o non vocate alla caccia al cinghiale. Si ritiene che, in questo modo, siano lesi ingiustamente gli interessi degli imprenditori agricoli umbri, nel diritto di proprietà e di iniziativa economica che la Costituzione italiana tutela. La diffusione dei selvatici -ha proseguito Rossi – ha raggiunto dimensioni e copertura territoriale così ampia che ai già insostenibili danni all’agricoltura e all’ambiente si aggiungono i danni alle persone e alle strutture, con un aumento di incidenti stradali, anche gravi, e rischi sempre maggiori per la sicurezza dei cittadini e degli operatori agricoli durante l’attività lavorativa”.
Legge La legge regionale 17 del 29 luglio 2009 prevede che siano individuate aree nelle quali la presenza di alcune specie, quali appunto cinghiali, nutrie, storni e corvidi sia da ritenere incompatibile con l’ecosistema. Le Province avrebbero dovuto anche predisporre annualmente dei piani per la riduzione delle specie dannose, in modo da renderne la presenza compatibile con le caratteristiche ambientali, le esigenze di gestione del patrimonio zootecnico, la tutela del suolo e delle produzioni zoo-agro-forestali e la prevenzione del rischio sanitario, presentando, peraltro, ogni 31 dicembre, alla Giunta regionale una relazione illustrativa dei risultati raggiunti. “Non risulta, invece, che quanto previsto sia stato fatto dagli uffici preposti – hanno spiegato gli avvocati Visentini e Tonelli -. E’ noto che anche la Pubblica amministrazione, nella propria azione, deve ottemperare al principio del neminem laedere e laddove omette colpevolmente le doverose regole di diligenza e perizia è responsabile dei danni ingiusti provocati, in questo caso, alla collettività degli imprenditori agricoli umbri. Peraltro – hanno proseguito i legali – gli indennizzi attualmente praticati tengono conto solo dei danni alle colture in misura illegittimamente parziale e non, invece, di altri tipi di danni estremamente gravi e pericolosi per l’ambiente e il territorio, come quelli provocati dalla fauna selvatica agli argini dei fossi, ai corsi d’acqua, ai fiumi e laghi e al regime delle acque in genere”.
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